Morte del Brigadiere Legrottaglie: una lettera aperta dedicata a te
In ricordo di Carlo.
E’ giovedì. E’ notte. In casa tutti dormono.
Aggiungo l’acqua alla moka, giro e stringo bene. Esco sul balconcino per vedere se stasera fa caldo, anche se già lo so che fa caldo, sorrido pensando a questa mia abitudine così irrinunciabile.
Tre minuti, il tempo per l’acqua di diventare caffè, mi siedo sulla sedia e leggo la prima pagina del giornale di oggi. Quante storie complicate di guerre e politica.
Il soffio della caffettiera mi riporta alla vita vera, mancano quarantacinque minuti all’inizio del turno e l’odore del caffè contrasta con il profumo della torta che abbiamo mangiato poco fa, qui in cucina, per festeggiare.
Un po’ lo verso in una tazzina, una parte più grande la lascio per le mie figlie, domattina ho deciso che gli preparerò un caffellatte freddo. Le scuole sono finite e ora amano dormire fino a tardi. Domani non riposerò dopo il servizio, ora avrò tutto il tempo del mondo per riposare e per dormire persino le notti. Che cosa strana per me.
Mi dirigo verso il salotto ma non accendo la luce, è mezzanotte, tutti dormono, ma i miei stivali sanno già dove camminare.
Il berretto mi attende da stamattina sull’attaccapanni, dove l’ho lasciato alla fine del turno 7/13. Sembra malinconico come me. Sa che da domani diventerà un soprammobile che prenderò, forse, una volta ogni tanto per raccontare qualche storia.
Non gli regalo più di qualche secondo, devo uscire perché il nuovo collega mi ha detto che stanotte vuole farmi riposare ma che appena montiamo mi vuole portare di fronte alla basilica per fare una foto con i lampeggianti accesi. Dice che è un giorno speciale.
Io lo assecondo, ma per me non è un giorno speciale. Io amo la normalità, sono una persona normale.
Non mi sono arruolato per salvare il mondo, ma per far si che io potessi farne parte senza fregarmene di quello che succedeva di sbagliato.
Mentre scendo le scale vedo il mio riflesso blu, nero e rosso sulla vetrata del portone. Vorrei osservarlo un po’ di più ma Il mio riflesso sembra avere fretta, sfila via per andare in caserma.
Arrivo alla mia auto, che è un po’ vecchia e penso che forse con la pensione la cambierò. Mentre salgo a bordo vedo nuovamente il mio riflesso sul finestrino. Ci crederete o no, mi fa ancora oggi strano vedermi con quest’uniforme. I civili non lo sanno, ma Il berretto si calca con la visiera vicino agli occhi, e ti costringe a tenere la testa alta per poter guardare dritto avanti a te. Questo è un significato che ho sempre amato.
Il turno è andato bene, fino a poco fa.
Non indosso il berretto in questo momento, sono steso a terra ed è capovolto sull’asfalto. Cerco di tenere la testa alta lo stesso, ma è difficile, sento di non averne la forza. Il mio giovane collega mi parla ma non riesco a sentirlo, guardo il sole appena sorto che mi fa capire che la giornata è iniziata.
Mi sembra di sentire l’odore della moka di poche ore fa.
Ciò che mi dispiace è che stamattina non potrò preparare il caffellatte per le mie figlie, ora che le scuole sono finite.
Riposa in pace Carlo,
Un nostro iscritto.