19 Aprile 2024
Comunicati SIM CC

Quando un militare muore per lavoro

 

Oggi, con grande dolore leggiamo ancora una volta la notizia relativa ad un altro uomo in divisa che decide di togliersi la vita. Questa volta, però, non c’è bisogno di fare congetture o di ipotizzare motivazioni di qualsivoglia natura. Le motivazioni alla base del gesto sono chiare, perché è l’autore stesso del gesto che le vuole raccontare, perché si sappiano e non si vadano a cercare altrove. In questa nostra riflessione condivideremo con voi le sue stesse parole. Quelle che già stanno girando nel web e che in pochissime ore stanno diventando virali.

Preciso che questo mio gesto è legato esclusivamente alle vicende lavorative in quanto non ho problematiche fisiche, familiari ed economiche”.

Così tuonano le parole del maresciallo Presutti, cariche di rabbia e di dolore, come quel proiettile che rivolge verso di sé ma che forse avrebbe voluto colpire quell’altro (la sua organizzazione) tanto amato e dal quale si è sentito profondamente tradito.

Se sono arrivato a questo punto è perché nella Guardia di Finanza c’è una tensione altissima. La gerarchia vuole che agli occhi dell’opinione pubblica l’immagine del Corpo appaia perfetta, senza interessarsi minimamente del personale”.

E adesso, dopo questo gesto qualcosa cambierà? Forse era questa la speranza del Presutti? Che il suo gesto divenisse uno strumento di cambiamento. Perché grazie al suo gesto, corredato da una chiara lettera, qualcosa possa cambiare. Forse dovremmo considerare il suo gesto l’estremo atto d’amore nei confronti della sua Istituzione. Per aprire, con un immenso grido, una riflessione sul malessere del personale. Un uomo che ci racconta di aver studiato a lungo e di aver visto profondamente deluse le proprie aspirazioni

Nel mio caso, sono stato impiegato per più di 25 anni in una sala operativa, prendendo una specializzazione (ESI Esperto per la sicurezza delle informazioni) e diverse qualifiche necessarie per poter operare in settori di servizio specifici ed ora, dopo aver ottenuto il trasferimento a Viterbo, (DOPO QUASI 29 ANNI DI SERVIZIO E INNUMEREVOLI DOMANDE PRESENTATE) sono stato destinato ad un settore di servizio completamente diverso, che non ho mai fatto, nonostante ci siano uffici, (sala operativa e sezione operazioni) alla stessa sede, in cui è previsto l’impiego di personale con la mia specializzazione.”

Un uomo che ci racconta di aver lavorato senza sosta con turni incredibilmente lunghi e faticosi

Questo nuovo impiego, a cui sarà destinato, ha suscitato in me una forte tensione emotiva dovuta anche allo stress che ho accumulato nel corso degli anni di servizio poiché, sono stato impiegato anche in turni di 12/18 ore continuative o senza rispettare l’intervallo tra un turno e l’altro che deve essere di 11 ore (INVECE MOLTE VOLTE NELLA STESSA GIORNATA HO FATTO 8/14 E POI 20/08 OPPURE 20/08 E POI 14/20)”.

E magari proprio questa dedizione al lavoro, questo suo non sottrarsi agli impegni istituzionali, anche quando costavano stress e fatica, ha fatto maturare dentro il maresciallo l’aspettativa di una gratificazione, che però non è arrivata. Perché forse nelle torri d’avorio si pensa che la gratificazione comporti poi una diminuzione prestazione, o forse perché in quelle torri d’avorio non si ha piena coscienza di ciò che vive ogni giorno il personale.

Non sono temi nuovi neanche per noi: turnazioni infinite, organici inadeguati per le esigenze del reparto, impieghi in luoghi non graditi, aspirazioni costantemente deluse.

E allora quella lettera non può che chiudersi con un ultimo invito a squarciare i veli di ipocriti e inadeguati formalismi:

Infine, chiedo ai miei cugini Stefano e Marco, di consegnare questa mail ai miei genitori. Ai miei funerali NON VOGLIO che ci sia la rappresentanza della Guardia di Finanza ma solo gli amici, in abiti civili, che ho conosciuto nel corso degli anni travagliati che ho trascorso nel Corpo”.

La lettera del Maresciallo Presutti della Guardia di Finanza dovrebbe far riflettere tutti. È un testamento spirituale. Ci lascia in eredità il suo dolore e il suo grido disperato. Un grido che ci invita a prendere una direzione, l’unica possibile: quella dell’ascolto e del cambiamento.

 

SIM CARABINIERI

 

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