26 Aprile 2024
EditorialiNews

Come volevasi dimostrare.

Roma – Ci aspettavamo l’iscrizione per il reato di eccesso colposo di legittima difesa nei confronti del collega del Nucleo Radiomobile di Roma, dopo la morte del siriano che ha accoltellato un Carabiniere durante il tentativo di furto nella notte del 20 settembre u.s. Impossibile non tornare immediatamente al caso Cerciello Rega, così vivo nella memoria di tutti, e forse pure del collega quando si è trovato di fronte una scena simile. “L’atto dovuto” è una conseguenza quindi naturale per consentire la difesa tecnica e la nomina dei periti di parte e, paradossalmente, l’iscrizione per eccesso serve per verificare che non vi sia stato l’eccesso.  Ma provate ora a cercare su internet la notizia del ferimento del Carabiniere: non troverete nulla, nessun approfondimento, nessun inviato speciale. Reperirete solo il primo lancio, quello relativo alle iniziali informazioni ma nessuna morbosa curiosità da approfondire celata dal “diritto di cronaca”. Qui di “diritti” non ce ne sono, non c’è alcuna storiaccia nella quale poter sguazzare o paventare un qualche abuso, qualche stortura. Non ci sono carabinieri arrestati, caserme sequestrate e storie di questo genere. C’è sono solo un carabiniere ferito, l’ennesimo servitore dello Stato che si è beccato un colpo di cacciavite al costato, per aver osato fermare due sconosciuti intenti a consumare un furto nella notte. La risposta del collega di pattuglia è stata immediata: due colpi esplosi con l’arma di ordinanza (l’unica di cui disponiamo) ed uno dei due ladri, purtroppo, ferito mortalmentre. Qualcuno potrebbe chiedersi: e se i colleghi intervenuti avessero avuto il taser? Quell’oggetto mitologico, quasi leggendario e di cui parliamo da mesi e mesi, che inspiegabilmente possono utilizzare le polizie di tutto il mondo, tranne quelle italiane. Forse il siriano di 56 anni, pluripregiudicato per reati specifici oltre che per lesioni, si sarebbe salvato. Forse il collega intervenuto lo avrebbe immobilizzato prima ancora di beccarsi il colpo di cacciavite al fianco. Perché è ormai notorio che se il ladro brandisce il cacciavite, tu, giustamente, non puoi e non devi sparare con un calibro nove. L’art. 53 del c.p. è chiaro e la giurisprudenza ormai è stratificata: la difesa sarebbe sproporzionata e la minaccia non sarebbe attuale. Il cacciavite non è un’arma propria. Paradossalmente, se il collega non fosse stato ferito si sarebbe sentito contestare che al buio, di notte, avrebbe dovuto distinguere un cacciavite da un coltello, che non si cerca di uccidere le persone con un cacciavite, ma che si trattava di un grimaldello. Invece il cacciavite è divenuto un’arma impropria ed il collega è stato ferito al costato. La minaccia improvvisamente è diventa attuale e l’attualità dura un attimo, che spesso diventa fatale. Si chiama realtà, non è la filosofia dei libri di diritto.  E se al posto del cacciavite vi fosse stato un coltello? La contestazione sarebbe stata che tenere in mano un coltello non basta per ritenere che  poi lo si voglia usare. La verità è che si pretende che il Carabiniere attenda e legga nella mente del delinquente, che elabori velocemente cosa fare con i suoi super poteri, sperando sempre che nel frattempo “Dio ce la mandi buona“. Se non hai altri strumenti, puoi sperare in una resa da parte del criminale oppure devi mettere in conto l’eventuale “corpo a corpo” (circostanza ultima dove la pistola in pugno diventa una limitazione, meglio non brandirla affatto, se poi non la puoi usare) . Peggio ancora, puoi attendere che ti venga scagliato un fendente così da poter “vincere una violenza”, attuale,  sperando che l’attualità però non sia fatale, che il collega sia sveglio e reattivo, abbia la mira buona ed un buon avvocato. E se il colpo di cacciavite fosse arrivato al cuore?  Inutile chiederselo, lo abbiamo detto all’inizio:  in questa storia c’è solo un carabiniere ferito che non fa notizia,  un essere umano rimasto esamine al suolo di cui non importa niente a nessuno. Mancano gli avvoltoi, poiché hanno subito capito che c’era poco su cui poter speculare, non ci sono notizie sensazionali, manca il carabiniere di turno da consegnare alla piazza, al pubblico ludibrio. Risultato? Nessun articolo, nessun approfondimento, nessuno parla o parlerà mai del nostro disagio, dell’impossibilità di poter continuare a lavorare in questo modo. Abbiamo parlato di stabilire delle “regole di ingaggio”, di avere strumenti giuridici certi, ausili tecnici idonei e proporzionati. Nessuno scriverà mai di questo. L’altro complice è sfuggito, nessun dardo scoccato da un taser lo ha immobilizzato e grazie al cielo, neanche una pallottola lo ha colpito. Forse, in quell’ultimo caso, qualche giornalista starebbe ancora a scriverne ed indagare. Nessuno si chiede se il siriano fosse regolare o irregolare, come mai fosse ancora sul suolo italiano nonostante i precedenti, come mai fosse ancora in giro a delinquere invece di essere espulso o invitato a lasciare il suolo italiano. Neanche questo fa notizia.
Siamo cittadini assuefatti, indifferenti, circondati da soggetti che ci costringono a vivere una quotidianità fatta di crimini, espedienti, spaccio e furti che non fa più clamore, come fosse la normalità. Ma anche se tutto sembra andare al contrario in questo mondo capovolto, noi come SIM Carabinieri procediamo ostinatamente sulla retta via, restando vicini al collega ferito ed al collega che lo ha difeso e protetto ricorrendo più che legittimamente all’uso delle armi. La giustizia farà il suo corso, certo, è quello che auspichiamo, rinnovando la disponibilità al sostegno di qualunque tipo, anche legale, perché nessuno creda di poter attaccare i Carabinieri e di trovarli soli. Nessuno rimane indietro, nessuno rimane solo. Siamo e restiamo una grande famiglia che ancora crede ai nostri valori, ai valori della nostra costituzione, ai valori della nostra amata patria.

SIM CARABINIERI

#MAIPIÙSOLI

Riproduzione riservata ©

Rispondi