6 Ottobre 2024
News

L’art. 25 della Costituzione vale anche per i cittadini-militari?

Nota a margine di Tar Brescia, sentenza n. 988 del 2019 – di Cleto Iafrate

Arnoldo –nome di fantasia– è un cittadino militare che rimane coinvolto in un procedimento penale per “simulazione di reato e fraudolento danneggiamento dei beni assicurati”.

Ma c’è un dettaglio di non poco conto, che permarrà durante tutto l’iter processuale, chi dovrebbe condurre le indagini non è competente per territorio.

In altre parole, chi sta perseguendo Arnoldo, invece che mandare le carte a chi è deputato a svolgere gli accertamenti a suo carico, si ritiene legittimato a proseguire le indagini e le porta a termine, al fine di fare iniziare un processo contro di lui.

A questo punto, le cose per Arnoldo si complicano, perché tale “eccezione di incompetenza” va effettuata entro la prima udienza e riproposta costantemente in caso di suo rigetto.

Arnoldo sin dall’udienza preliminare fa presente tramite il suo avvocato che chi ha fatto le indagini, per ragioni territoriali non poteva proseguirle e conseguentemente, per le medesime ragioni, i giudici che stavano valutando il suo caso non potevano giudicarlo.

Come si può intuire, tale “eccezione” non fu accolta, ed Arnoldo viene anche condannato in primo grado.

Però, non si arrende, in quanto convinto della propria innocenza ed avendo notato quella particolare “anomalia” giuridica, propone appello e reitera la suddetta “eccezione di incompetenza territoriale”. La Corte d’Appello, invece che notare tale “errore”, da cui sarebbe conseguito l’annullamento della sentenza di condanna di primo grado e l’invio delle carte al Pubblico Ministero territorialmente responsabile, conferma parzialmente la condanna emessa nei suoi confronti.

Il nostro Arnoldo a questo punto decide di continuare nella propria ricerca di giustizia.

Pertanto, propone anche ricorso per Cassazione, la quale finalmente riconosce la suddetta incompetenza territoriale. Quindi, annulla la condanna emessa dalla Corte d’Appello, ma non rinvia gli atti al Pubblico Ministero competente, perché nel frattempo, per la “simulazione di reato” è intervenuta la prescrizione, mentre per “il fraudolento danneggiamento dei beni assicurati” è stata rimessa la querela della persona offesa.

Dunque, la vicenda giudiziaria di Arnoldo si conclude qui? Nemmeno per idea.

Per Arnoldo adesso inizia un’altra battaglia giudiziaria.

La Cassazione -che per definizione controlla solo che le sentenze impugnate non abbiano vizi di forma, e nel contesto non può valutare direttamente la “sostanza” delle accuse mosse[1]– ha sì annullato per incompetenza territoriale la predetta condanna, ma ha anche affermato che la sentenza annullata era motivata in maniera formalmente corretta[2].

Tale circostanza ha offerto all’Amministrazione militare lo spunto per instaurare nei confronti di Arnoldo un procedimento disciplinare di stato, punendolo con la sospensione dal servizio per quattro mesi[3].

Nel prendere tale decisione, l’Amministrazione ha valorizzato la correttezza formale della sentenza annullata dalla Cassazione, ma non ha tenuto in considerazione che il Pubblico Ministero territorialmente competente per le indagini, per le ragioni prospettate, non ha mai valutato né la fondatezza delle accuse mosse, né le investigazioni effettuate a carico di Arnoldo.

Questa circostanza non è una “mera quisquiglia giuridica”, perché tale Autorità Giudiziaria avrebbe potuto ritenere che le indagini a suo carico fossero infondate e, pertanto, chiederne l’archiviazione che, qualora accolta, avrebbe evitato ad Arnoldo il processo.

Al fine di chiarire quanto appena affermato, si farà riferimento ad un caso che qualche mese fa era balzato agli onori della cronaca: il caso Diciotti.

In quel caso, L’inchiesta è partita ad Agrigento: i pm della città dei templi ritennero infatti che il reato fosse stato commesso nelle acque di Lampedusa. Ipotizzando il coinvolgimento di un esponente dell’esecutivo, furono costretti a passare la carte a Palermo che, come prevede la legge, mandò tutto al locale tribunale dei ministri. Il tribunale dei Ministri poi ha sentito alcuni funzionari del Viminale e ufficiali della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza per cercare di ricostruire la “catena di comando” attraverso cui passò il divieto di sbarco dei migranti trattenuti a bordo della Diciotti e stabilire così il luogo in cui il reato è stato consumato. Alla luce delle testimonianze acquisite e dei dati raccolti, “il tribunale dei Ministri di Palermo si è spogliato del caso e ha trasmesso gli atti alla Procura di Catania dichiarandosi territorialmente incompetente a indagare[4]. I magistrati alla luce di quei dati si sono fermati evidentemente a una valutazione preliminare ravvisando l’incompetenza territoriale e non approfondendo il merito. Nel caso in questione poi, come è noto la Procura di Catania chiese l’archiviazione e il Tribunale dei Ministri di Catania rigettò la richiesta. Ma ciò è ulteriormente indicativo di quanto le singole Autorità Giudiziarie non possano considerarsi “interscambiabili”, ma ogni Giudice possa valutare differentemente determinate questioni di fatto e di diritto[5].

Per tornare ad Arnoldo, la suddetta sanzione disciplinare, oltre agli inevitabili strascichi sulla carriera e nella reputazione, ha comportato il dimezzamento del suo stipendio per il corrispondente periodo.

A questo punto, il militare decide di impugnare tale provvedimento al Tar.

I giudici amministrativi, pur stigmatizzando “la scarsa attività difensiva dell’Amministrazione[6]” rigettano il ricorso presentato, dando per accertati i fatti contestati al prevenuto da chi non doveva accertarli, e provati da chi non doveva valutarli[7]. Ciò, nonostante il vizio di incompetenza -per definizione- comporti l’annullabilità degli atti impugnati, assorba ogni valutazione di merito e provochi la rimessione dell’affare all’Organo competente[8].

Detto diversamente, “forse c’è stato un fatto. Qualora ci sia stato un fatto, forse l’hai commesso. Pertanto, vieni sospeso dal servizio per quattro mesi”.

Se è vero, come scrive il Tar, che “all’amministrazione era consentito utilizzare tutti gli elementi emersi nel corso dei processi penali, quando questi avessero assunto una valenza probatoria” è altrettanto vero che a conferire valenza probatoria a quegli elementi è il giudice competente per territorio e non un giudice qualsiasi. A sostenerlo è la Corte Costituzionale, allorquando ha stabilito, in ossequio all’art. 25 della Costituzione, che ogni vicenda penale deve essere preliminarmente valutata dal Pubblico Ministero competente per territorio[9]vaglio che nella vicenda di Arnoldo non c’è mai stato.

A questo punto vien da porsi due domande: perché il Tar non ha preso alcuna posizione su tale questione di rilevanza costituzionale e contestualmente principio generale del processo amministrativo? Perché vi è stata una “scarsa attività difensiva dell’Amministrazione”?

Per rispondere -almeno parzialmente- a tali interrogativi, bisogna considerare due profili: il rapporto tra legalità costituzionale e disciplina militare, e la presenza nel nostro ordinamento del “giudice nell’amministrazione”.

Per quanto riguardo il rapporto tra Costituzione e disciplina militare, si assiste ancora una volta “ad una disciplina militare che, in deroga ai principi costituzionali, rimane svincolata al principio di legalità, … perché si ritiene … che tale circostanza sia la più idonea a garantire la “massima coesione e neutralità” dei corpi militari. La disciplina militare, tuttavia, non è di per sé un valore assoluto, ma è – e deve rimanere – lo strumento per raggiungere un fine la coesione interna e la neutralità dei corpi militari altrimenti – la disciplina, da strumento di coesione si trasformerebbe in mezzo di separazione dei militari dalla società civile[10]”.

Invece, per quanto riguarda il ruolo del giudice amministrativo nel nostro sistema, più volte è stato proposto di devolvere tutta la giurisdizione del pubblico impiego -militari compresi- al giudice ordinario, per i seguenti motivi: “Alcuni magistrati amministrativi – talvolta in posizione di fuori ruolo – hanno incarichi presso i gabinetti e gli uffici legislativi dei Ministeri ed anche nella segreteria della Presidenza della Repubblica, della Presidenza del Consiglio dei ministri, altri invece provengono direttamente della pubblica amministrazione. … «Secondo quanto diramato dallo stesso Ministero della difesa, in Italia viene respinto il 95 per cento dei ricorsi proposti dai militari. …»[11]”. Questa percentuale la dice lunga sui veri motivi per cui una certa corrente di pensiero, anzi d’interessi, stia spingendo in Parlamento, e non solo, affinché la legge sui sindacati militari sottragga la giurisdizione per le condotte antisindacali al suo giudice naturale, il giudice del lavoro, per affidarla al giudice amministrativo. L’intento è quello di ridurre ulteriormente la già fortemente limitata operatività dei nascenti sindacati militari. Ma questo è un altro problema che esula dalla presente trattazione.

In conclusione, si augura ad Arnoldo di avere la stessa fortuna di un celebre mugnaio tedesco del 1700 al quale un barone avido e senza scrupoli aveva deviato le acque del mulino, unica sua fonte di reddito. Dopo alterne vicende, Arnold trovò un giudice a Berlino che soddisfò la sua domanda di giustizia.

Speriamo che anche Arnoldo trovi a Roma un giudice “costituzionalmente più sensibile” rispetto a determinate questioni, considerato che il caso in disamina e le questioni richiamate nelle precedenti note sono caratterizzati tutti da uno stesso filo conduttore: quando si tratta di “orientare costituzionalmente” la disciplina militare, il Giudice Amministrativo è maggiormente portato a leggere i principi costituzionali con gli occhi del diritto amministrativo, piuttosto che leggere gli istituti del diritto amministrativo con la prospettiva della Costituzione.

Cleto Iafrate

Leggi gli altri contributi dello stesso autore su SimCarabinieri.it .

[1] Ex multis, Cfr. con Corte di Cassazione Penale, sezione Terza 07/12/2018 (Ud. 13/11/2018), sentenza n. 54704, disponibile su www.ambientediritto.it: Alla Corte di cassazione, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482)”.

[2] Tar Brescia, sentenza in commento, che richiama Corte di Cassazione, sentenza n. 55949 del 13/12/2018.

[3] Tar Brescia, cit.

[4] Cfr. “Diciotti: tribunale dei ministri di Palermo rinvia gli atti alla Procura”, in Ansa.it del 18 ottobre 2018

[5] Su tale questione, sia consentito il rinvio a C. Iafrate, “Pur di non dare ragione al carabiniere, la Seconda Sezione del Consiglio di Stato sconfessa la Quarta”, in Ficiesse.it.

[6] Tar Brescia, cit.

[7] Tar Brescia, cit.: “… con specifico riferimento alla vicenda sostanziale, il Ministero ha valorizzato le concordanti riflessioni sviluppate dal giudice penale nei tre gradi di giudizio”. E’ di intuitiva evidenza che tale interpretazione dei fatti non tiene conto della circostanza che in caso di trasmissione degli atti al Pubblico Ministero competente si sarebbe potuti addivenire ad un’archiviazione del procedimento penale a carico di Arnoldo. Quindi, non si può affermare con sufficiente probabilità (men che meno con certezza) che Arnoldo abbia commesso i fatti che gli sono stati contestati.

[8] CGA, sentenza n. 273 del 6 marzo 2012, disponibile in www.dirittodegliappaltipubblici.com: “E’ principio generale del processo amministrativo che l’accoglimento di un vizio-motivo di incompetenza dell’organo che ha provveduto è, intrinsecamente e necessariamente, assorbente di ogni altro vizio-motivo dedotto nel ricorso; giacché tale vizio accolto, per la sua stessa natura, inficia tutti gli altri atti successivi, che inevitabilmente dovranno essere reiterati dall’organo competente”. Del resto, come ricorda il Supremo Consesso Amministrativo Siciliano, tale principio generale è stato codificato nel codice di rito del 2010, all’art. 34 c.2 c.p.a.: “In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.

[9] Corte Cost., sentenza n. 70 del 15.03.1996, che ha statuito l’illegittimità costituzionale del comma 1dell’art. 23 c.p.p nonché del comma 1 dell’art. 24 c.p.p rispettivamente “nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest’ultimo, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per territorio”, ovvero “nella parte in cui dispone che, a seguito dell’annullamento della sentenza di primo grado, per incompetenza per territorio, gli atti sono trasmessi al giudice competente, anziché al pubblico ministero presso quest’ultimo”.

[10] C. Iafrate, Pur di non dare ragione al carabiniere, la Seconda Sezione del Consiglio di Stato sconfessa la Quarta; Idem, Il paradosso di un’Europa più attenta a forme e dimensione dei cetrioli che non al diritto di libertà personale dei cittadini militari; Idem, Si poteva negare un diritto soggettivo con motivazioni prive di fondamenti giuridici? in www.ficiesse.it.

[11] C. Iafrate, Riforma costituzionale: la Costituzione del 1947 non esiste più, sostituita per un uomo solo al comando, in Ficiesse.it. In senso conforme, S. Cassese, Governare gli italiani – Storia dello Stato, Il Mulino, Bologna, 2014, p. 205: “Orlando notava che l’espressione giurisdizione amministrativa è impropria: se è giurisdizione non può essere amministrazione, e viceversa. L’amministratore-giudice – osservava – è giudice in casa propria”.

Rispondi