27 Luglio 2024
Comunicati SIM CCNews

Diritti sindacali: audizione del SIM CC alla 4° Commissione Senato

Tutela della giurisdizione del lavoro .

Analisi e studio dell’argomento in oggetto in collaborazione con Legalilavoro, una federazione di nove studi legali, composta da oltre 55 avvocati che operano nel Diritto del Lavoro.

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Roma, 22 ottobre 2020. Nota sulla modifica della giurisdizione in materia di diritti sindacali.
Secondo quanto previsto dall’art. 103 della Costituzione “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.
Come ben dimostra il tenore letterale della norma e la tradizione giuridica italiana, l’ipotesi in cui il giudice amministrativo si occupa anche di diritti soggettivi è straordinaria, eccezionale, comunque con carattere residuale rispetto alla “tendenziale generalità ed illimitatezza delle attribuzioni del
giudice ordinario” (Corte Costituzionale, sent. 204/2004). Pertanto, tale conferimento di giurisdizione deve attenere materie particolari o speciali aventi delle caratteristiche tali da legittimare la deroga alla
regola generale a mente della quale l’Autorità Giudiziaria Amministrativa si occupa solo di interessi legittimi.
La Corte costituzionale ha delineato le coordinate dell’eccezione, stabilendo che per sussistere la giurisdizione esclusiva occorre che l’amministrazione agisca, in ambiti predefiniti, come autorità,
vale a dire “attraverso la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sia […] mediante comportamenti ” costituenti espressione, anche mediata, di un potere amministrativo (Corte cost., 5 febbraio 2010, n. 35).
Nella materia del rapporto di impiego pubblico, di fronte alla regola generale per cui ogni vicenda attinente alla fase gestionale del rapporto pubblico contrattualizzato è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, residua, con valenza eccezionale, una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per il rapporto relativo al personale in regime di diritto pubblico, rapporto in cui si
intrecciano istituti comuni al rapporto contrattualizzato con istituti tipici del rapporto amministrativo nel quale l’amministrazione agisce con poteri autoritativi. E infatti, il legislatore, conscio di muoversi
entro confini limitati, ha ritenuto che per aversi giurisdizione esclusiva occorre che la controversia sia tra amministrazione e personale dipendente.
Oggi, senza che alcuna valida ragione ci sia e in totale contrasto con le linee guida tracciate dalla
Corte Costituzionale, è in discussione l’ipotesi di far confluire nella giurisdizione amministrativa, anche l’esercizio dei diritti soggettivi sindacali da parte delle associazioni sindacali, cioè di soggetti assolutamente terzi rispetto al rapporto di lavoro del personale in regime di diritto pubblico.
A rilevare contro la modifica non v’è solo la terzietà dei sindacati rispetto al rapporto di lavoro, bensì anche la tipologia dei diritti in questione. Non si tratta dei diritti naturalmente afferenti al rapporto di lavoro (retribuzione, orario di lavoro, ferie ecc.), bensì di diritti soggettivi costituzionalmente rilevanti
(si immagini all’azione avverso la condotta antisindacale) che nessuna relazione hanno con un
rapporto di lavoro.
È, quindi, evidente, come la modifica proposta vada a collidere con la Carta Costituzionale, non appalesandosi alcuna ragione eccezionale per cui a occuparsi di diritto (soggettivo) sindacale sia il
Giudice Amministrativo, in deroga alla norma costituzionale per cui di regola e salvo motivate
eccezioni, dei diritti soggettivi si occupa l’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
Si soggiunga che la situazione attuale – diversa giurisdizione a seconda che si disputi di posizioni
giuridiche sottese al rapporto di lavoro ovvero di diritto soggettivo delle organizzazioni sindacali –
ha trovato piena copertura nell’Ordinanza 143/2003 della Corte Costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la tesi della necessaria sussistenza di un’unica giurisdizione.
D’altronde la giurisdizione del Giudice ordinario in merito ai giudizi promossi dalle associazioni sindacali ex art. 28 Legge n. 300/70 è ormai pacificamente affermata dalla consolidata giurisprudenza
sia della Cassazione (SS.UU. 9.2.2015, n. 2359; 24.9.2010, n.20161), sia del Consiglio di Stato (Sez. III, 26/10/2015, n.4900; Sez. 1^, parere, 12.6.2002, n. 1647/02) “… anche quando la condotta
antisindacale afferisca ad un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato e che incida non solo sulle prerogative sindacali dell’associazione ricorrente ma anche sulle situazioni soggettive individuali dei pubblici dipendenti”. Né la giurisprudenza di legittimità né quella amministrativa hanno pertanto mai ritenuto che il Giudice competente in materia di condotta antisindacale debba
necessariamente essere il medesimo cui è attribuita dal legislatore la giurisdizione con riguardo al rapporto di lavoro del personale rappresentato dalle associazioni sindacali, giacché quest’ultime agiscono in giudizio avverso la condotta antisindacale per tutelare un proprio diritto soggettivo, che è del tutto autonomo rispetto al rapporto del personale rappresentato e risponde ad una natura
giuridica diversa.
Riaffermare ora la giurisdizione di un Giudice speciale, quale quello amministrativo, rispetto alla regola generale della giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie promosse dalle associazioni sindacali per la repressione della condotta antisindacale nei confronti delle Amministrazioni militari farebbe fare al nostro ordinamento giuridico un balzo indietro di oltre 20 anni.
Il Legislatore, infatti, come chiarito dalle SS.UU. della Cassazione sopra ricordate, nell’abrogare con l’art. 4 della Legge 11 aprile 2000, n. 83, art. 4 i commi 6 e 7 dell’art. 28 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (che erano stati aggiunti dall’art. 6 della Legge 12 giugno 1990, n. 146) ha inteso eleggere il
Giudice ordinario a giudice “esclusivo” in materia di controversie promosse da sindacati ed aventi ad oggetto condotte antisindacali di pubbliche amministrazioni, anche qualora la tutela del diritto della associazione sindacale richieda la rimozione di un provvedimento che incida su posizioni individuali di dipendenti pubblici regolate con atti amministrativi e non già con atti di gestione di diritto privato.
Pertanto, dopo l’abrogazione dei commi 6 e 7, dell’art. 28 Stat. lav. ad opera dell’art. 4 della Legge n.
83 del 2000, il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993,
art. 69, comma 3, come novellato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 29, e poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165
del 2001, art. 63, comma 3, la giurisdizione del Giudice ordinario in materia di condotta antisindacale è riconosciuta dalla nostra giurisprudenza una “cognizione incondizionata“, ossia senza che ci sia più l’eccezione della giurisdizione del Giudice amministrativo neppure nelle ipotesi in cui la condotta
antisindacale si realizzi con atti che incidano sulle posizioni giuridiche dei singoli dipendenti anche con rapporto “non contrattualizzato”, come appunto quello del personale militare.
La Corte costituzionale con l’ordinanza n. 143 del 2003, già citata, ha al riguardo puntualizzato che non sussiste alcuna esigenza costituzionale per cui, ove la condotta antisindacale patita dal sindacato
incida anche su un rapporto di impiego non “contrattualizzato“, debba derogarsi alla regola generale della giurisdizione del giudice ordinario ora dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3. Il possibile conflitto di giudicati in caso di azioni giudiziali contemporaneamente proposte avvero il medesimo atto sia dall’associazione sindacale con la procedura ex art. 28 St. lav. sia dal singolo dipendente leso – come ha rilevato la Corte costituzionale nella stessa ordinanza – può ben essere governata dai Giudici investiti di queste azioni o attraverso la sospensione ex art. 295 c.p.c. del
giudizio che si ritenga dipenda dalla pregiudiziale definizione dell’altro ovvero riconoscendo la totale autonomia delle due azioni in quanto volte a tutelare distinte situazioni sostanziali.
Infine, da una sommaria verifica sugli esiti dei procedimenti giurisdizionali riguardanti il personale militare e quello non privatizzato emerge il dato, davvero desolante, secondo in cui il Ministero della difesa o altra amministrazione ottiene una percentuale nell’anno 2020 pari a 81,39 ovvero al 92,45 per cento di sentenze favorevoli.
Appare così compromesso il diritto del militare al ricorso effettivo e al giusto processo davanti ad un giudice terzo e imparziale come garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo all’art.13 “anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro
funzioni ufficiali“. Il diritto al ricorso effettivo è poi sancito dalla Carta di Nizza all’art.47 come diritto fondamentale e non è ragionevole ipotizzare che solo un militare su dieci abbia ottenuto ragione per aver denunziato la lesione di un suo diritto ottenendo tutela.

Antonio Serpi
Segretario Generale
SIM CARABINIERI

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